Ricerca personalizzata

sabato 29 agosto 2009

Psicofidanzata

A Federica


Monotematico
al limite del patetico,
mi arrampico
nevrastenico,
dimostrandomi antipatico.

Gente, cosa ci posso fare,
il nervoso viene,
di certo non sono da lodare,
ma in questo mondo nessuno sta bene,
anche un miliardario ha le sua ansie,
ognuno ha le proprie magagne.

E la mia fidanzata,
quella drogata
di speranza,
crede che con la scrittura,
io possa far la grana.

Dovete perdonarla,
è ancora giovane di età,
ed anch’io a vent’anni
ci credevo nella fama.

E lei che vuole fare la psicoterapeuta,
mi tratta come un paziente,
e si, il qui presente
demente,
sta senz’altro male,
effettivamente.
A me basta il suo amore,
senza di lei,
tutto è indifferente,
tutto è uguale,
non avrei più un cuore,
avrei solo rancore.

Ma quale elucubrazione,
io scrivo d’istinto,
di getto,
sono solo un vinto,
un inetto.

Eccola che si fa sentire,
il mio cuore non può che gioire.
Ti passo a prendere,
le faccio,
ho il cuore da rendere
andiamo, vieni col tuo pagliaccio.

Cazzo, parlo solo in rima,
perché senza te la mia vita declina.
Sai, non riesco a smettere mica,
sarà una nuova sindrome,
su dottoressa, mi dica…

Ma tu passi ad altri argomenti,
vuoi parlare di tutti i commenti,
e con i tuoi occhi sognanti,
proferisci: se continua così,
qualcuno potrà notarti.

See… magari Fabri Fibra,
ma che hai bevuto? Ti sei fatta una riga?
E mi accusi di essere il solito volgare,
ma dai scherzo, non te la menare.
Dai, era per fare una rima,
lo sai che per me sei più di un’amica.

Se poi pensi che sia scurrile,
ti presento un lurido,
che ti farà rabbrividire.
Lui è un porco, ha la visione della vita distorta,
ma di lui,
te ne ho parlato già un’altra volta.

Oh! Mi ami?
Guarda che se non mi ami,
ti assicuro che mi uccido domani
e se non vuoi che ti chiami,
faccio una rapina da Emporio Armani,
e tu: “Ah? E che mi regali?”

E cosa vuoi che ti regali,
un paio di manette?
Così ti lego a me
e saremo insieme
per sempre.

Tu sei mia,
nessuno ti deve portare via,
tu mi accusi di esser possessivo,
ma senti chi parla,
quella che dice
“Tu con gli amici non ci vai,
sei solo mio!”

Fatemi smettere con queste rime,
altrimenti la mia ragazza mi uccide.
Non mi resta che chieder perdono,
pur sapendo di non aver fatto niente,
ma ti faccio questo dono,
perché lo sai, senza te,
non sono autosufficiente.

Ogni comportamento induce a deduzioni,
tu qualsiasi cosa fai,
mi procuri forti emozioni…
ed è già assai,
sai?

Proverò per la prima volta,
a rimanere amico di una ex,
perché a dispetto di quello che pensi,
sei stata molto importante per me
e non voglio perderti per sempre,
scrivo col cuore, non con i sensi,
e il mio cuore non mente.


Francesco Favia

Giovedì 22 maggio ’08 ore 1:00

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Demente

Mi dimeno
in questo veleno,
sputando parole,
quest’arte è la mia prole.

Non ho mai scritto
così tante rime in vita mia,
cosa vuoi, sono afflitto,
questa non è magia.

E tu utente,
dai non cliccare,
altrimenti qualche benpensante,
supporrà che io voglia barare.

L’interesse che sto suscitando,
francamente,
mi sorprende,
ma ripensando,
non credevo che potesse essere utile
mostrar alla gente quanto io fossi demente.
Lo so, quest’ultimo pensiero potrà sembrar futile,
ma cosa vuoi che possa uscir fuori
da uno che per il mondo è inutile.
Più pacifico di un figlio dei fiori,
vorrei comunque veder soffrire
quegli avvoltoi,
che dopo avermi usato,
accartocciato,
bruciato,
avranno pensato “e mo’ son cazzi suoi”,
dopodiché mi hanno dimenticato.

E se trovi stupida
la mia rima,
e se credi che porti sfiga,
vai su un sito porno e guardati una vagina.

Francesco Favia

mercoledì 21 maggio 2008 ore14:38


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Bocconcino

Scrivo quotidianamente,
quasi mai allegramente,
sorrido raramente,
mi dispero facilmente
e muovo le dita celermente,
picchio i tasti con queste mani,
più veloce dei pugili messicani,
guardo storto questo schermo,
manco fosse l’immagine del mio inferno,
fare soldi è il mio intento,
non con l’arte, questo è certo.

Sono il bocconcino preferito della sfiga,
non credere che non morde mica,
mi divora e mi buttà giù,
manco fossi un tiramisù.
Ingoia
la mia paranoia,
e poi esce il suo siluro
e ripetutamente me lo mette in culo.
Non giudicarmi, ti scongiuro,
già si sa che sono un insicuro.

I soldi, chi ne ha troppi
e chi per piangere non ha gli occhi,
io mai li farò,
ma spero in uno stipendio
così per un po’ sopravvivrò,

Altrimenti, vita acidella,
io prendo una rivoltella,
così potrò far la bella
e ti vedrò finalmente buona come la Nutella.

Francesco Favia

mercoledì 21 maggio 2008 ore 14:08


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Bonazzo

Che fascino ragazzi... :-D Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! ! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! ! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah!

Chiamala come c**** ti pare

Chiamalo rap, chiamala poesia,
chiamala arte,
chiamala come cazzo di pare,
sono parole e cosa vuoi che sia.
Ciò che stai leggendo,
non è una filastrocca,
intendo?
Capito, uso le dita e non la bocca.

Le pesto con forza sulla tastiera,
per dar libero sfogo alla mia creatività,
e dimostrare a me stesso
che in fondo non sono una nullità.

Già hai ragione,
con l’arte non si fa un soldo,
ma chi è quel coglione
che va dicendo che sono così sciocco?

Io ho sempre studiato,
ma dal tempo mi sentivo fregato,
allora ho deciso di lavorare
ed ho sempre lavorato.
Poi la vita ti impone delle scelte da fare,
cambiai lavoro per non farmi sfruttare,
ma sono stato sfruttato lo stesso,
usato e gettato nel cesso.

Ora sono un disoccupato,
più o meno,
lavoro nove ore a settimana,
ovviamente sempre a nero.

E se dici che tu nella vita non hai rimpianti,
io non ti credo, bello, tu non mi incanti…
Adesso passo le giornate davanti allo schermo,
mandando curriculum e componendo rime per assecondare il mio cervello,
che pensa continuamente,
proiettando immagini di un futuro incerto,
perché effettivamente,
tutto ormai è stato compromesso.

Francesco Favia

martedì 20 maggio 2008 ore 17:00



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Essere immondo

A grande richiesta,
mi accingo a declamare le gesta
di un essere immondo,
dalle pulzelle chiamato a’ stronzo,
e non lo faccio perché mi sento un paladino,
lo faccio in nome dell’arte e delle donne,
capito mi hai, cretino!?

Io del gruppo sono il giullare,
mentre tu sei lo sfigato, ahi te, compare.
Stai fermo con le mani, quella è una mia amica,
non lo vedi che con te
non si diverte mica.

Sai, io vivo nell’ombra,
ma come per magia,
grazie agli amici ho sprazzi di allegria
e la serata la faccio diventare gioconda
e via.

Via sulla strada,
alla ricerca di un locale,
sei solo in macchina?
Cos’è ti ha preso male!???

Ma cosa provi, cosa ti stanchi,
lascia stare, fatti da parte, appartati,
non lo sai che le donne si trattano con i guanti?
Dai bello, ascolta uno che usa il guanto
da quando
non aveva neanche i peli avanti.

Arrivi nel locale,
hai caldo e manco stessi male,
pretendi che il titolare,
ti accenda l’aria condizionata,
beh… guarda…
vai a cagare.

Hai deciso questa sera
di puntare sulla cameriera?
Stattene a casa
e fatti un salto oltre la ringhiera.
Nel vuoto scoprirai la sensazione
che si prova nel scopare,
un vortice di adrenalina,
prima di arrivare.

Prendi al volo questo accendino
e fatti questo spino,
così ti rilassi un pochino,
sei troppo teso, sai…
è così, poi, che si finisce nei guai.

Hai mai affrontato l’ira di una persona paziente,
dai su dimmelo, perdente!
Quando la pazienza la perde,
la sua faccia non diventa verde,
ma il mansueto ti cambia i connotati facendoti diventare avvenente.
Tu mi hai mandato male per l’ennesima volta,
ora assaggerai le conseguenze, ti tocca stavolta.

Ti aspirerò e ti soffierò via,
e se avanza qualcosa di te,
sai che c’è?
C’è che scatarrerò
e fuori ti sputerò,
e quando ti avrò finito,
caro rincoglionito,
ti getterò
e ti calpesterò.

E se questo dissing
non sarà servito,
ti aspetto sul ring,
si sa,
sono un ragazzo di strada,
amico.


Francesco Favia

martedì 20 maggio 2008 ore 1:00


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lunedì 10 agosto 2009

Cisco & Hank


Morte perpetua

Quel che scrive è il mio ectoplasma,
che irrefrenabilmente devasta,
sputando una catasta
di parole che creano quella sostanza
che quasi ti uccide come un’asma.

Prosciugato, senza vita,
affronto questa salita,
che pian piano mi affatica,
e questo inasprimento
giova al mio tormento,
unguento
d’argento,
in questa morte senza tempo.

Francesco Favia

lunedì 19 maggio 2008 ore 2:20


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Gagliarda goliardia

Dato che in Italia non si legge
é meglio che mi presento a Riccardo,
che col coso che ho,
mi offrirebbe sicuramente un contratto da un miliardo.
E la notte non riesco a dormire,
perché troppa è la voglia de scrive.
In testa bombardano rime,
che non mi lasciano fare una dormita,
manco fossi Fabri Fibra
e intanto qui sul web
ci-ci-ci copiano
per citare
il succitato Fibroga
che già lo sapeva insieme a suo fratello
che il talento,
quella droga,
è solo un tranello
da rimpiangere a vita,
ma non possiamo far altro che usare questa vetrina,
che per il talento è l’unica via d’uscita,
e all’amico Geryl Mc
sta prepotentemente uscendo alla rivalsa,
e sono contento sì
di esser stato tra i primi a farlo emergere dalla massa.
Geryl è in gamba.
Il talento, quella manna,
quando c’è, è evidente,
fa evidenziare come tra migliaia di gente
sei sopra una spanna.
Io gli chiesi un’intervista
E lui, grande,
me la concesse.
Dopo un po’ di tempo,
gliela chiese un giornalista vero,
ma Geryl la testa non se l’è montanta, dico davvero!
Ed io vorrei fare un appello a quel giornalista che lo ha intervistato,
che sicuramente avrà letto il mio articolo e la mia intervista, prima di averlo incontrato,
perché non dà una mano anche a me per farmi mettere in vista?
Oppure mettesse una buona parola in redazione,
guarda che so scrivere,
non sono mica un cialtrone.
I complimenti della gente mi lusingano,
allora mi domando,
ma sono io che questo talento se lo sta fumando?
E tra la voglia di cambiare la vita
e lasciare tutto com’è,
dovrei scegliere di dare energia
ad entrambe le cose, vedi te,
che stronzata,
non ditelo a me,
ditelo a chi ha scritto questa cagata,
che sarà stato anche pagato,
e qualche tecnico della Vodafone
me l’ha mandato;
si trattatava
del messaggino quotidiano
dello zodiaco,
ma l’astrologia è un’altra montatura,
e li mortacci di Fox
che mise il mio segno al primo posto
nell’oroscopo del 2008,
ma è da quando è iniziato
questo anno
che la sfiga mi sta assediando,
facendomi perdere la fidanzata e anche il posto, ancora lo sto gastemando!

Ed io che ho sempre il cervello che me scureggia,
come diceva il grande Alvaro,
continuerò a scrivere, maneggia,
almeno fino a che il destino mio non diventi meno amaro.

E adesso, cosa vuoi che ti dica,
mi lascio sconvolgere dalla vita,
più di quanto faccia la nicotina.

Ora basta, non mento mica,
questa puttanata in versi è davvero finita.


domenica 18 maggio 2008 ore 11:00


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Vivo per la f***

Disperso dentro me stesso,
vomito parole su questa tastiera,
scrivendo una poesia
e firmandola Francesco Favia,
e se poi leggendola ti piace,
di certo non è colpa mia.

Descrivo angoscie e frustrazioni,
e non mi dire che tu provi le stesse emozioni…

Ma guarda un po’,
siamo uguali,
tutti con dei sogni,
tutti con delle aspirazioni,
tutti con delle emozioni,
ci lasciamo abbandonare alla deriva
in questi allucinanti soggiorni
trascorsi in lunghi giorni
a pensare se l’anima sia ancora viva.

E mi faccio toccare l’anima dalla gente,
così potrò accorgermi se ancora respira,
e se non è giacente,
sicuramente ispira,
a me o a qualche altro demente,
che con le parole si diverte.

Ma alla fine queste parole di un perdente,
rimangono lì,
e per il mondo sono niente.
Non mi resta che andare via di qui,
uscire
e far finta di gioire,
facendomi dosi di vita,
ammettendo che l’unica cosa che adoro
è la f***.

Francesco Favia

domenica 18 maggio 2008 ore 5:57


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I and my guitar

Che fico! Altro che i Take That!

yeah!

caspita... che rockstar!

sabato 8 agosto 2009

Quella notte



A Davide


Era da un po’ di tempo che le visite di Paul si erano fatte più frequenti. Ernest ogni tanto lo andava a trovare all’hotel dove lavorava. Per Paul erano una manna quelle visite che facevano passare più velocemente le lunghissime ore del turno notturno. Adesso quelle visite erano diventate quasi quotidiane. Se Paul faceva il turno di notte, era scontata la presenza di Ernest all’hotel.
Ernest non stava attraversando un bel periodo. E si sa, quando si cade in disgrazia, tutti gli amici spariscono. Paul, invece, gli era sempre stato vicino. Sapeva ascoltarlo e confortarlo. Ad Ernest bastava anche solo la sua presenza. Lo stesso valeva per Paul. La compagnia di Ernest era in grado di accorciare in qualche modo la lunga nottata di lavoro. E non importava che Ernest ultimamente non fosse di compagnia. D’altronde bastavano due parole, qualche bicchiere ed Ernest dimenticando i suoi guai, ritornava a scherzare come lui sapeva fare.
Quella notte, però, né l’alcool, né il conforto di Paul riuscirono a tirarlo su. Ci fu un bel via vai quella notte. L’hotel era pieno. Non c’era neanche una camera libera. Quella notte l’hotel ospitava degli operai in trasferta, diverse coppiette, qualche coppia più matura, presumibilmente fedifrago con amante al seguito e qualche mignotta, cliente abituale dell’albergo. Le prostitute, ormai, avevano le loro stanze. Quasi ogni sera erano lì. Ogni sera con un diverso cliente. Ogni tanto qualche loro cliente si rifaceva vivo, con la stessa puttana o anche con qualche altra. Le puttane erano utili, dunque, anche a pubblicizzare l’hotel, facendo spesso acquisire nuovi clienti per la felicità delle tasche del proprietario della struttura.
E quella notte si presentò un trans. Anch’egli assiduo frequentatore di quel puttanaio. Era da un po’ che non si faceva vivo. Era ovviamente in compagnia di un suo cliente.
Ernest si chiedeva come faceva il puttaniere a non essere in imbarazzo. Il trans si poteva capire, ormai era routine: quello è il suo lavoro, questione di abitudine. Evidentemente anche per quel tizio era diventata un’abitudine, un vizio abitudinario.
Quella notte al transessessuale andò male. E sicuramente non la prese, se così si può dire, sportivamente. Iniziò subito ad inalberarsi. Alzando i toni, pretendeva una camera. Non ci credeva che l’albergo era pieno. È vero, difficilmente non rimane nemmeno una stanza libera, ma quella notte andò di lusso per le casse dell’albergo.
Paul, sempre pacato, iniziò a non sopportare l’atteggiamento insistente del trans. Tuttavia, mantenne un atteggiamento diplomatico, dicendo che avrebbe fatto meglio a prenotare, a fare un colpo di telefono. Quel coso continuava ad inveire e a non credere che l’albergo fosse tutto esaurito. Paul gli disse: “Ma perché non ti devo dare la stanza? Te la do sempre.” E quello continuava a scassargli l’anima, sfidando la sua pazienza. E Paul: “Ora ti porto in giro per l’hotel e ti faccio vedere camera per camera!”
Alla fine il trans se ne andò. Sicuramente aveva le sue ragioni: il cliente dove lo avrebbe portato? E magari offrendo la prestazione in macchina, sarebbe stato costretto anche a fare uno sconto.
Erano ormai arrivate le due del mattino. Il via vai di puttane e coppiette era finito da un bel po’. Ora tutti dormivano. Una dolce quiete sussurrava nell’aria ed Ernest si faceva coccolare da essa.
Mentre Paul finiva di riportare i dati, Ernest sorseggiava disperatamente l’ennesimo bicchiere.
“Vacci piano” redarguì Paul dall’altro lato della hall. “Non ne hai bevuto abbastanza di quella robaccia. Ora l’epatite ti deve venire.”
Ernest rimase in silenzio. Si limitava a contemplare il bicchiere vuoto.
“Ho quasi finito. Ora ti raggiungo.” Gli disse col suo solito tono rassicurante Paul. “Vuoi venire qui? Ci vediamo qualche film godereccio sul canale satellitare…”
“No, no…” rispose Ernest impugnando la bottiglia ormai vuota. La capovolse e lasciò sgocciolare quel che rimaneva nel bicchiere.
“Ma ti rendi conto? Ti sei scolato una bottiglia di whisky!” Esclamò Paul avvicinandosi al bancone dell’angolo bar. “Se non vai in coma etilico adesso, non ci vai più.”
“Ma dai, cosa dici… La bottiglia non era piena. Era a metà.”
“Già, forse hai ragione. Hai comunque bevuto troppo stasera. Basta.”
Ad Ernest gli stava venendo quasi da piangere. Lo sconforto gli stava strappando le lacrime. Il senso di dignità le tratteneva. Il sostegno di Paul gli faceva piacere, d’altronde era lui a cercarlo, ma per un tipo come Ernest, abituato sempre a lottare, era umiliante quell’ammissione di sconfitta. La vita aveva vinto, lo aveva messo al tappeto e non riusciva più a rialzarsi.
“Ma si può sapere cos’hai?” lo sollecitò Paul “Vedrai che si sistemerà tutto. Troverai un altro lavoro. E non ti preoccupare riuscirai anche a finire di pagare la macchina.”
“E’ finita.” Asserì Ernest.
“Cos’è finita? Smettila!”
Ernest si riferiva a sé stesso, ma spostò il discorso sulla donna che l’aveva lasciato qualche giorno prima.
“Alla tua età anch’io passai dei momenti bui, persi il lavoro. Stavo malissimo. Sai che facevo? Rimanevo a guardare il cielo.”
“In cerca di una risposta?” domandò Ernest, pensando al perché l’uomo è destinato a soffrire nel suo ciclo vitale. Poi proferì: “E’ finita con Matilde.”
“E perché? Cosa è successo?”
“Cosa vuoi che ti dica. Ognuno ha le sue ragioni. Ognuno ha il suo orgoglio.”
Ernest stava da poco più di due anni con questa tipa. Le voleva molto bene, ma al momento aveva questioni più importanti a cui pensare. Certo gli dispiaceva un po’, ma quest’ennesimo regalo della vita, quest’ennesima disillusione fu la spinta per gettarsi in quel profondo dirupo che solo a guardarlo faceva venire la tremarella.
Forse non riusciva ad avvertire la mancanza di lei, per vie delle preoccupazioni che non lasciavano spazio ai sentimenti. Sentiva però una mancanza. L’ennesima cosa sottratta. La vita gli tolse l’ultimo motivo per andare avanti, per rialzarsi.
Era stanco, non ce la faceva più. Non c’erano soluzioni. C’era un’unica via d’uscita, forse, per evitare un futuro sotto i ponti.
Un’invitante fragranza distolse Ernest dai suoi pensieri.
Paul gli porse una tazza. “Tieni, ti ho preparato il cappuccino che ti piace tanto.”
Ernest sorrise e sorseggiò contento come un bambino a cui gli si prepara il latte al cioccolato.
Finì di bere e disse: “Non ti scorderò mai. Sei un amico.”
“Perché dici così?” domandò un po’ stupito Paul.
“Domani parto. Raggiungo uno che conosco a New York. Lì dovrei trovare un lavoro.”
“Capito. In bocca al lupo allora.”
“Crepi.”
“Se torni da queste parti fatti sentire, passami a trovare.”
“O.K.” disse Ernest “ma non credo di tornare più. Voglio dimenticare questa città e la sua gente.”
Ernest si alzò dal trespolo e si avviò verso l’uscita. Paul lo accompagnò.
“Allora addio.”
“Addio.” Rispose Ernest e lo abbracciò. Lo strinse forte. Aveva gli occhi lucidi. Quell’abbraccio durò un bel po’. Quel gesto era come uno scudo protettivo contro le avversità della vita e avrebbe voluto che non terminasse mai.
Sapeva che non lo avrebbe più rivisto. “Ti scriverò.” Le ultime parole famose di Ernest, proferite mentre montava in macchina. Mise in moto e si allontanò nel buio.
Guidò per un po’ fino ad allontanarsi dalle zone abitate. Si immise su una strada a scorrimento veloce.
Ad un certo punto accostò sul ciglio della strada. Uscì dall’auto. Si appoggiò sul cofano e si accese una sigaretta. Diede una bella boccata e si stese. Contemplò il cielo. Estasiato guardava le stelle. Rimase così per almeno una mezzora. Si alzò e si accese un’altra sigaretta.
Era notte fonda, non c’erano molte macchine in circolazione. Qualcuna come saetta, spezzava il buio ed il silenzio, correndo ad alta velocità.
La strada era buia. Inquietava. Ernest tirò via la sigaretta come se fosse un calciatore del Subbuteo ed iniziò a camminare in quelle tenebre alla ricerca di una luce.
Dopo qualche minuto di cammino trovò quel che cercava. Adesso forse era sereno.


Francesco Favia

venerdì 16 maggio 2008 ore 16:10



ogni riferimento a fatti, luoghi e persone è puramente casuale


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Enstusiasmo sfiorito

15 maggio ’08 ore 22:34

La vita col tempo è capace di levarti qualsiasi entusiasmo. Un giorno ti accorgi che ciò che ti entusiasmava, ti lascia indifferente.

Francesco Favia


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L'aria è amara

I Gemelli non mi sono mai piaciuti più di tanto, però in passato ho ascoltato più volte l'album Fuego e questa canzone era tra le mie preferite. Ed è incredibile come in questo momento mi ci ritrovo! Ho perso il lavoro, la ragazza, ho la macchina da pagare e vado a sfogare le mie frustrazioni da un amico che lavora in un hotel... dove però c'è anche l'angolo bar. Giuro che è la verità e spero che la situazione migliori.
Sto malissimo, mi sento davvero crollare il mondo sotto i piedi. Mi sento solo, abbandonato. Gli amici più stretti sembrano essere spariti e tutto ciò che sembrava esser una certezza si è dimostrata l’ennesima nuvola effimera.
Sono un incapace, un buono a nulla. Nel cielo è scritto che dovrò essere un eterno fallimento.
Francesco Favia
15 maggio 2008


Whisky & Margarita

GRIDO:Hey barman dammi la cosa più forte da bere e poi con calma vieni
qui accanto a sedere perchè ho davvero bisogno di un po' di ascolto dai
tu mi conosci da molto ho toccato il fondo ormai
THEMA: Ti sento spento sai??
GRIDO: ricordi ti parlavo di quella donna che amavo che mi ha cambiato
lei per cui stavo bravo lei per cui respiravo versalo in fretto amico
oggi mi ha lasciato.
THEMA: ed è per questo che sei messo in questo stato uomo di conosco e
sono onesto questa volta sei conciato è successo mille volte ed è
tornata da te sarà già a casa che ti aspetta preoccupata per te.
GRIDO: tu non capisci lei vuole un altro e lo ha detto a me la mia tipa
mentiva dal giorno che ci siamo visti io ci credevo davvero che scemo
brindiamo a un uomo che deve di nuovo partire da zero...

RIT: BRUCIA SOTTO LE MIE DITA QUESTA NUOVA FERITA DAMMI WHISKY &
MARGARITA...CERCO UNA VIA D'USCITA MENTRE GUARDO LA MIA VITA IN FONDO A
UN WHISKY e un MARGARITA....

THEMA: non puoi buttarti giù così ma fidati di chi ne ha visti di
momenti tristi e crisi.
GRIDO: sì sì! ma di che parli amico? non hai capito ti dico sono
davvero finito....versane un altro perchè ho perso il lavoro troppo
estroverso e inaffidabile a detta di tutti loro e in più vedi la
macchina di fronte al bar non va spiegami chi pagherà.
THEMA: hey zitto un istante sembri un bimbo che piange lamentele su un
mondo crudele ne ho sentite tante ed ero il primo a farle forse tu non
lo sai non sei la prima persona che si trova nei guai.
GRIDO: parla lui.
THEMA: perchè io ero come te mi credi ti ritrovi solo e tremi cade il
mondo sotto i piedi tu dimostra quanto vali guarda quei bicchieri
capisci che è la metà piena che bevi?

RIT

GRIDO: e dire che quand'ero bambino soganvo di diventare presidente
invece adesso io mi vedo un perdente eternamente al verde fai tu vorrei
addormentarmi per non svegliarmi più!!
THEMA: ma sei scemo?? Dillo un altra volta e ti meno davvero ti
conoscevo e credevo tu fossi un uomo vero quella donna ti ha
imbrogliato e sporcato ed ora tu piangi perchè un angelo sbagliato se
n'è andato? Sai nessuno ti regala niente questo lo sapevi sei tu che
devi lottare per ciò in cui credi hey prova a guardare in alto e
sfrutta tutto ciò che sai e vedrai un uomo senza più guai.

RIT


Gemelli Diversi

28 aprile 2008 - Un lunedì sera a Giovinazzo



Il fantasma di Giovinazzo
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