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mercoledì 10 giugno 2009

Ansia

19 ottobre ’05

Sento che sto sprofondando in qualcosa di tragico. Non riesco a risalire, non faccio che cadere.

Se ci fosse stata una pistola in casa, probabilmente, sarei già morto.

Quelle parole, come si capirà dalla data, furono scritte un bel po’ di tempo fa’. Furono scritte in uno dei tanti momenti di sconforto. In questo preciso periodo della mia esistenza, mi ci ritrovo spaventosamente. Ovviamente gli stati d’animo sono simili, ma i motivi sono più o meno differenti. Sicuramente di base c’è il “cosa fare nella vita”, ma all’epoca studiavo, seppur con difficoltà, consumando intere giornate sui libri, avendo un sogno, un obiettivo preciso. Oggi non ho sogni, ma degli obiettivi sì, ovviamente imposti dal buon senso. Abbandonati gli studi, dopo i soliti lavori a provvigione e qualche collaborazione presso multinazionali che non mi avrebbero mai assunto, decisi, dunque, di intraprendere un percorso lavorativo che difficilmente mi avrebbe lasciato disoccupato, se intrapreso con perseveranza. Ovviamente iniziai dal basso. “Uaglione” di un salumiere. Si, armato di umiltà, iniziai a fare il ragazzo di bottega per un pazzo isterico che iniziava di prima mattina a nominare tutti i santi e le parolacce che possano esistere. Tra lo scarico del furgone e il domicilio, le lunghe giornate lavorative andavano via con i miei capelli. In seguito ebbi modo di lavorare per un grande supermercato a gestione famigliare. Anche lì orari di lavoro estenuanti. Lavoravo undici ore al giorno, condite, però, da pesantissime pressioni psicologiche. Famigliari ed amici mi consigliavano di lasciare quel posto, ma io, consapevole che non potevo andare da nessuna parte senza né arte, né parte, insistevo con quella tortura perpetua. Avevo appena il tempo di mangiare, cacare e dormire. In fondo, in fondo, in fondo, forse, a me andava anche bene così. Andava bene così per gli orari e forse inizialmente anche per il ridotto stipendio: 600 euro per undici ore di lavoro al giorno; e alle volte si lavorava anche la domenica. Mi andava bene così, volevo fare la gavetta. Solo che lì, lo stipendio sarebbe stato sempre da gavetta. Dopo qualche anno avrei avuto un contratto ed una cento euro in più, come altri ragazzi. Lì, però, nemmeno i più anziani, prendevano più di otto/novecento euro al mese. Ancor più grave, era che lo stipendio, io, come il resto degli operai, lo ricevevamo con ben due mesi di ritardo. Praticamente per due mesi, si lavorava gratis. Il lavoro era anche duro, “sotto di me” ebbi anche dei ragazzi, i quali scapparono via dopo qualche giorno. Per me il lavoro pesante non era un problema, anzi, persi molti chili e ne guadagnò il mio aspetto fisico ;-)

E penso che gli stress psicologici riuscivo anche a sopportarli, rispetto ad altri dipendenti, anche veterani, che alcune volte, non riuscivano ad aver quella diplomazia necessaria con i clienti. Sopportavo… insomma, sul lavoro cercavo di nascondere le mie frustrazioni, almeno davanti ai clienti. Non nascondo che la sera, nel bagno di casa mia, mi lasciavo andare a vere e proprie crisi di pianto. Poi tra colleghi, ci dicevamo tutti che saremmo andati via da lì, ma tutti eravamo consapevoli che non sarebbe mai andata così. Ogni tanto, qualche veterano ci abbandonava, ma solo perché esasperato, si abbandonava ad accese discussioni col titolare e veniva prontamente cacciato. Quelli che resistevano erano quelli che avevano famiglia e mutui da pagare. E mi domando come facciano con quei bassi stipendi (non bassi come al mio) che tardavano, e presumo che tardano tuttora, ad arrivare.

Il mio intento, comunque, era di imparare più cose possibili, per poi andare a lavorare in qualche altra azienda che mi avrebbe fatto un contratto e mi avrebbe pagato di più e puntualmente.

Un giorno, dopo quattro mesi intensi, una telefonata mi consentì di uscire da quell’incubo. Ebbi un’offerta irrinunciabile, che, forse, avrei dovuto rifiutare. Tra i tanti curriculum che mandai, ne mandai qualcuno anche a delle società che si occupano di vigilanza.

Mi offrirono un contratto a tempo indeterminato e un ottimo stipendio, praticamente il doppio di quanto prendevo in quel supermercato. Cosa avrei dovuto fare? Accettai e per cinque mesi me la sono goduta. Un bel giorno perdo il lavoro, per via della perdita dell’appalto.

Mi ritrovo nuovamente senza lavoro e per di più con un gravoso impegno economico, che spinto dall’entusiasmo, decisi di prendere.

Oggi mi arrangio con un'altra società di sicurezza. Lavoro, in nero, pochissime ore a settimana e praticamente guadagno pochi spicci.

Sto mandando curriculum a tutte le aziende alimentari possibili e qualche colloquio l’ho anche fatto, ma ancora niente di fatto. Mi sembrano tutti prevenuti dai miei cambiamenti di lavoro. Io questa cosa la capii già qualche tempo fa’ ed è anche per questo decisi di intraprendere un percorso preciso. Io per i soldi, ho cambiato per un attimo strada. Io sono convinto che tutti avrebbero fatto la mia scelta e pochissimi intraprendono una strada per vocazione. Bah… spero di ritornare su quella strada, che sicuramente non è il massimo della vita, ma mi piace più di tanti altri lavori che ho fatto. E intanto, ad ogni buon conto, l’ansia mi sta lacerando. Ho quasi venticinque anni e non ho concluso niente nella vita. Non ho ancora delle competenze specifiche. Le aziende assumono gli ultra venticinquenni solo per ruoli da responsabili, anche perché si presume che una persona a venticinque anni, abbia maturato una significativa esperienza lavorativa. Sono tagliato fuori. Aiuto! Nessuno mi fa i contratti di apprendistato e nessuno mi vuole nemmeno a nero!!! Non so come uscire da questa situazione. Presto anche la società per cui lavoro ora, perderà l’appalto, le ore continuano a ridursi. Non posso stare senza lavoro, ho le mie spese. Non sono un figlio di papà purtroppo. Anzi, non vedevo l’ora di avere uno stipendio decente, per cazzarlo in bollette e mutuo (almeno un mutuo per un monolocale), andando via di casa.

Non so come fare per uscire da questa situazione.

Un lato positivo in tutta questa storia forse c’è. Ho apprezzato la dinamicità del lavoro. Nelle aziende presso cui prestavo servizio, osservavo, sentendomi in colpa, i dipendenti sgobbare e interagire con i clienti. Anch’io, in passato, sgobbavo e interagivo con la gente. È vero, odiavo farmi chiamare “GIOVANE!!!!!”, ma forse odio ancora di più fare il palo. Ho rivalutato, tuttavia, chi fa la guardia giurata: è gente che fa un lavoro noiosissimo e, nel contempo, molto rischioso.

Comunque….

Sperando che risorga il sole, mi sfogo su questa tastiera.

E in ogni modo, se qualche direttore di un supermercato di Bari e provincia, dovesse capitare sul mio blog, lo pregherei di tenermi presente, magari richiedendomi il curriculum. Io lavorai principalmente nel reparto ortofrutta, ma davo una mano in quasi tutti i reparti. Ricordo che mi piaceva stare in macelleria, mi occupavano della preparazione di hamburger, involtini e alle volte spaccavo i polli con il coltellaccio. Avrei voluto acquisire le tecniche di taglio, ma non ne ebbi il tempo.

La vita è fatta di scelte, ma come si può sapere qual è quella giusta?

Vi saluto amici…

…alla vostra salute.

Ciao!

Francesco Favia

23 aprile ’08

http://ciscofavia.blogspot.com/

www.nonsolocronache.com


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